Non è raro sentire o leggere giudizi catastrofici sulla situazione religiosa del mondo cattolico italiano. Secolarizzazione galoppante e quasi generalizzata. Atei in aumento vorticoso (ma ve ne sono davvero molti, di atei allo stato puro?). Indifferenza dilagante nei rispetti di problemi circa il divino. Ecc. E invece, no: se si vogliono accettare per validi i dati forniti da una ricerca tra le più serie di rilevazione sociologica in tema: la “Inchiesta europea sui Valori”, gli italiani che ammettono l’esistenza di un Dio personale erano il 77% nel 1999; quelli che frequentavano la chiesa settimanalmente o almeno una volta al mese si aggiravano rispettivamente tra un terzo e la metà della popolazione. Se ci si illude di vivere in un paese cattolico, si è come presi dal panico. Ma chi ignora, oggi, che i cattolici in Italia sono minoranza? Una minoranza robusta, tuttavia. Tanto più che le percentuali dei praticanti – almeno parzialmente – segnano un aumento a partire dal 1980. E tale crescita si registra specialmente tra i giovani dai 18 ai 30 anni. Traggo le notizie da un intervento del prof. Introvigne, uno dei maggiori esperti di religione al di fuori degli schemi.

        Quadro roseo? Dipende. Se si osserva il comportamento morale di coloro che si dichiarano cattolici, non si possono ignorare, per esempio, gli esiti dei referendum sul divorzio e sull’aborto; non si può sottacere il fatto che l’Italia è la nazione a tasso di natalità più basso nel mondo – a parte la prolificità degli immigrati, fin quando durerà – e che è il paese a più alto consumo di materiale pornografico. Per stare a settori morali abbastanza agevolmente controllabili e non entrare nel campo dell’onestà negli affari e della giustizia sociale, si ponga.

        Da considerare è un’altra sorpresa. I cattolici italiani – anche tra i semiacculturati avvezzi a slogan pseudoteologici – si rivelano tra i più ignoranti in fatto di verità religiose anche più fondamentali. La maggioranza non sa dire in fila i sacramenti e i comandamenti, non crede nella vita beata e nella possibile dannazione eterna, si muove tra nebbie fitte se deve spiaccicare due parole sulla Trinità, ignora o nega la divinità di Cristo – ma allora, donde viene la salvezza? e che cosa accade nella messa a cui pure si assiste? – rifiuta l’autorità della Chiesa quando insegna qualcosa che mette a disagio, confonde la resurrezione dei morti con la reincarnazione e così via.

        Dove vanno le nostre vanterie tutte italiane che usano irridere il catechismetto della prima comunione? E si osservi: l’ignoranza religiosa non è conseguenza dell’allontanamento dalla pratica sacramentale e dalla predicazione: si accompagna benissimo alla messa domenicale, alla omelia, alla proclamazione della scrittura, alla catechesi e ai quaresimali. Ma, allora, che cosa insegnano ‘sti preti e ‘sti vescovi? Bisogna proprio evitare la chiarezza delle idee per vivere e trasmettere la fede? La quale consisterebbe unicamente in un sentimento molliccio o in una congerie di affermazioni strampalate? Il credere non si esaurisce nel sapere, ma esige il pensare.

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