I titoli stringati e svelti, se non proprio le cronache, di alcuni giornali hanno indotto forse qualche lettore distratto a pensare che si fosse varata una legge a favore dei musulmani in Italia. Non era vero. Si trattava di un disegno di legge presentato dalla maggioranza del Parlamento: da discutere e da votare, dunque. Il tema era quello della libertà religiosa da riconoscere e da regolare tra le diverse confessioni e lo Stato, superando così la categoria del cattolicesimo come «religione di Stato», da una parte, e, dall'altra, quella di «culti ammessi». Una sorta di legge-quadro, quindi, da rispettare nel caso di accordi che si volessero stipulare senza concedere un diritto automatico all'intesa da parte di qualsiasi aggregazione religiosa. Per la verità, nella relazione introduttiva si accennava esplicitamente ai musulmani oltre che al cattolicesimo. E si capisce il motivo: l'Islam in Italia è la seconda religione con i suoi ottocentomila fedeli cittadini legali a tutti gli effetti (e i clandestini quanti sono?).
       Sembra inutile, a questo punto, che i cattolici - e anche i laici - recriminino contro una situazione che i politici di un passato recente hanno permesso se non proprio voluto. Non sembra obbligatorio esultare, ma il quadro sociologico è questo. Occorrerà essere vigili quando i governi stipuleranno gli accordi con le varie fedi religiose perché tali accordi non contrastino con una legge che in modo difficilmente eccepibile si richiama alla Costituzione. Qualche appunto lo si può, tuttavia, siglare fin da ora.
       Non sarà male che, prima di sancire intese, lo Stato verifichi la consistenza delle varie formazioni religiose: numero di aderenti, patrimonio storico, culturale, artistico eccetera. Per non negare i diritti di una eventuale maggioranza anche relativa a motivo del rispetto verso magari esigue minoranze. Il rilievo vale anche per i musulmani. I quali, oltretutto, non hanno una struttura comunitaria anche lontanamente paragonabile al cattolicesimo: Papa, vescovi eccetera. Gli «enti esponenziali» - come li chiama il disegno di legge - sono esiti di fattori ereditari, politici, economici e quant'altro. E gli stessi credenti non si riconoscono vicendevolmente sempre. In Francia, di recente, i musulmani hanno votato e si sono eletti una rappresentanza. In Italia, per ora - se sono ben informato -, esistono almeno tre proposte di accordo con lo Stato di altrettanti gruppi islamici: proposte non ancora unificate. (Si dovranno prevedere diversi accordi con svariati Islam?).
       Dallo statuto della formazione religiosa dovrà risultare chiaramente che essa intende non sostituirsi né contrastare lo Stato laico, accettandone le leggi quando è minoritaria e imponendo il Corano come unica norma anche civile quando dovesse diventare maggioranza. L'osservazione trova numerosi casi di applicazione. Esempio: gli edifici di culto spesso sono anche luoghi di elaborazione e di impegno politico e, comunque, appartengono per sempre alla comunità religiosa; il matrimonio non potrà essere poligamico; la donna sarà da considerare persona a tutti gli effetti e non «cosa» da mutilare o di cui disporre a piacere e così via.
       Più in generale il disegno di legge insiste almeno tre volte sul dovere che l'Islam - e qualsiasi altra aggregazione religiosa - ha di ammettere una vera reciprocità di diritti e di doveri nei confronti di altre confessioni. Di più: «Che non sia in contrasto con l'ordinamento giuridico italiano, che rispetti i diritti fondamentali della persona garantiti dalla nostra Costituzione e che non vengano offesi i valori considerati parte integrante della identità nazionale, della tradizione storica, culturale e religiosa del nostro Paese». Di là dal principio formale, occorrerà rendersi attenti ai diritti da riconoscere ai musulmani: per esempio, circa il riposo settimanale al venerdì, le feste sacre, il tempo del digiuno, le preghiere giornaliere, le prescrizioni alimentari, l'impostazione dei programmi nelle scuole dell'obbligo, la prassi della tumulazione separata eccetera. Come si vede, si è ben oltre la concessione di esercitare il culto «purché non si tratti di riti contrari al buon costume» dell'articolo 18 della Costituzione.
       L'orientamento della proposta di normativa è di «arrivare a un Islam italiano compatibile con le nostre leggi e con i nostri valori». Non pare si possa agire diversamente, oggi. Ci si immette in una strada irta e faticosa, non impossibile. Purché i cattolici non rinneghino la loro fede. E i cittadini non tradiscano la loro identità spirituale italiana. Qualche momento di frizione è pure da prevedere (terrorismo a parte). Anche il rischio di una mentalità livellante sul nulla o quasi. Da parte di tutti: musulmani compresi.

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