Durante le cronache concitate dei giorni della guerra in Iraq, non si è prestata soverchia attenzione a notizie anche di una certa importanza: per esempio a una sentenza della Corte costituzionale che, almeno in modo implicito e indiretto, riconosce ai responsabili il diritto di scelta di una scuola pure tra quelle non rigorosamente gestite dallo Stato, e il conseguente diritto degli iscritti alle scuole private ad avere contributi statali. Sembra inutile riprendere per esteso argomenti che suonano come litanie ed evidenze per mentalità autenticamente democratiche. Quando da qualsiasi forza sociale si invoca la reale possibilità di autodeterminazione culturale di qualsiasi cittadino e di qualsiasi famiglia circa l'utilizzazione di una qualsiasi scuola - anche privata e però avente finalità di servizio pubblico e organizzata secondo leggi civili valide per tutti -, da parte di alcuni ambienti si insorge subito gridando alla discriminazione. Si conoscono a memoria le pseudomotivazioni di stampo statalistico: unico gestore della formazione e della preparazione professionale degli alunni - almeno nel periodo dell'obbligo, ossia fino a diciotto anni - dovrebbe essere lo Stato; chi volesse una libertà ulteriore esercitando l'opzione di una scuola in qualche modo privata, sarebbe costretto a pagare simile libertà. Lo Stato assicuri le scuole statali e lasci le altre ai ricchi, si afferma di solito. I quali ricchi se le sovvenzionino quanto e come desiderano. E così si costringe la scuola privata a essere dei ricchi - o dei poveri che si ostinano a scegliere -, impedendo a chi vuole di optare per un apprendimento preciso e idealmente caratterizzato. Insomma, si pretende uno Stato in qualche misura pedagogo. Si è a un monopolio scolastico, magari in nome di non si sa quale "laicità" confusa spesso con una impossibile neutralità veritativa e valoriale, e non qualificata da un sano pluralismo di proposte. Oltre tutto spendendo di più.
       Invano, contro un simile schema almeno un poco oppressivo, si recano gli esempi delle situazioni, variamente ma effettivamente pluralistiche, di altri Paesi democratici europei e non. Invano si richiamano i ripetuti rilievi del Parlamento europeo circa il caso anomalo dell'Italia in tema di libertà scolastica. E' difficile scalzare dogmi infondati: si rischia la censura, se non proprio l'inquisizione, magari a suon di epiteti, proprio mentre si pretende di difendere la libertà. O si ha paura di un confronto?
       Il divieto di qualsiasi aiuto economico alla scuola non statale è stato dichiarato "manifestamente inammissibile" dalla Corte costituzionale già dal 12 marzo 1998 almeno quando si tratta di sovvenzioni assicurate a studenti che frequentano suole private. La Consulta manifestò la propria interpretazione valutando la scuola in un contesto chiaramente pluralistico. E tuttavia, quasi a dispetto della pronuncia della stessa Corte costituzionale, si è tentata, più di recente, la via del referendum per abrogare parti della cosiddetta "legge di parità" del 10 marzo 2000. Ancora una volta, il 6 febbraio di quest'anno, la Corte costituzionale ha dichiarato "inammissibile" il referendum che voleva abolire o limitare ingiustificatamente la libertà scolastica anche con l'erogazione di fondi statali in qualche modo a sostegno della scuola privata. Detto diversamente: il monopolio statale della suola è contro la Costituzione. Di qui si parte per l'interpretazione dell'art. 33, par. 3: "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato". Si noti: "la Repubblica detta norme generali sullistruzione e istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi" (Cost. art. 33, par. 2). E però, la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare a esse piena parità e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali (Cost. art. 33, par. 4).
       A quando il riconoscimento chiaro ed equo di diritti riconosciuti dalla Costituzione autorevolmente interpretata dalla Corte costituzionale? Di là da ogni situazione di egemonia culturale scolastica quasi per un totalitarismo consensuale. E sia chiaro: i cattolici qui sono chiamati in causa come chiunque assuma iniziative nel quadro legislativo attuale. Semmai i cattolici si vedono costretti a battersi per la libertà di tutti.

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