Ciascuno ricorda i moniti di molti ecclesiastici in Italia perché almeno i cattolici accogliessero e aiutassero gli immigrati - specie i musulmani - che a frotte e passando tra le maglie abbastanza larghe della legge, arrivavano tra noi. Gli argomenti recati per giustificare l'esortazione erano quelli della carità: dare da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini e quelli che pellegrini non erano affatto perché volevano stabilirsi nel nostro Paese, eccetera. Richiami sacrosanti, sia chiaro: quando il pubblico potere sembrava invitasse anche i clandestini a fissare la loro dimora sul nostro suolo. Molti credenti, anzi, accusavano di insensibilità evangelica guide della Chiesa che richiamavano anche il dovere della salvaguardia e della promozione della identità culturale italiana. Sta bene aiutare chi non ha di che sostenersi. E tuttavia, occorre pur limitare il flusso degli immigrati per non subire una sorta di invasione e non essere costretti ad accogliere una mentalità e un comportamento che ci sono estranei: limitare il flusso e in qualche modo scegliere tra coloro che intendono venire tra noi. Ve ne sono di quelli la cui visione del mondo è assai vicina alla nostra. Altri che no. Qui tra i cattolici corse il fremito del pluralismo religioso e del dialogo. Come se la moltiplicazione delle fedi e delle morali segnasse di per sé un aumento di genuinità e di fervore. E non esercitasse - come avvenne - un qualche fascino verso un relativismo dove il vero e il falso, il buono e il gramo si confondessero in una melassa di scetticismo orrendo.
       Quanto al dialogo, poi, ci si accostò ai nuovi arrivati con un silenzio imbarazzato in fatto di religione: quasi con un senso di vergogna. Già, perché dall'altra parte vi erano idee semplici e tetragone: Allah e il Corano: niente incarnazione; niente laicità dello Stato e libertà religiosa; niente potere civile distinto da quello sacrale, eccetera.
       La constatazione segnò un risveglio brusco. Bisognava ritrovare o improvvisare certezze da tempo dimenticate. Si era pronti a cadere nelle braccia dell'Islam. Se ciò non avveniva, era soltanto per una nostra pigrizia che spiegava tante incongruenze. E poi, non sembrava educato abbandonare convinzioni e comportamenti ricevuti dalle generazioni passate. Tanto valeva vivere ciascuno secondo il proprio stile di pensiero e di vita: a gruppi paralleli, se non proprio contrapposti. Compito missionario da esercitare in terre lontane e con i vicini di casa ex cattolici, ma senza importunare i musulmani. Anzi, senza abbordare un poco tutta la popolazione immigrata. La quale andava soccorsa con i buoni-pasto e con un letto caldo, ma sembrava non avvicinabile con una proposta religiosa.
       Ed eccoci al problema che si sta rivelando angoscioso. Specialmente i musulmani si moltiplicano in proporzione geometrica di fronte a noi che invecchiamo a vista d'occhio. Che facciamo? Ci rassegniamo al destino di una islamizzazione dell'Europa? Giorni fa, anche il cardinale di Torino - dopo due o tre vescovi  richiamò il dovere dei cattolici di portare il Vangelo ai musulmani. Era ora. Ignoro se si sia ancora in tempo a cambiar direzione alla storia in questo settore di vita. Ma è giunto il momento in cui anche i cristiani assumano la loro responsabilità di proposta religiosa. Può essere che i musulmani debbano prima passare attraverso una tappa di secolarizzazione per avvertire l'esigenza di un rapporto intenso e vitale con Dio. Il cattolicesimo, checché se ne dica spesso, è l'opposto di un integralismo mortificante. Libera le energie umane in maniera insospettata e in misura sorprendente.
       Intanto, superiamo il senso di inferiorità. Non certo a motivo delle nostre capacità, ma dei doni che il Signore ci consegna. Poi sarà ciò che Dio vorrà. L'Islam può essere la frusta di Dio che ci sospinge ai nostri doveri. Senza rassegnazione. Senza piagnistei.

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