Arrivo volutamente fuori tempo nel commentare gli 82 anni del Papa e il suo stato di salute e la sua intenzione di continuare il ministero: senza dimissioni - a chi darle? -, senza rinunce di sorta. Confesso la delusione provata nello scorrere la rassegna stampa. Anamnesi impietose. Diagnosi infauste. Prognosi allarmistiche. Terapie quasi nulle e molto rischiose. Sembrava di ripassare le vicende di uomini di Stato famosi, tenuti in vita con artifici crudeli magari per preparare la successione.
       E invece no. Torna alla mente la convinzione di Paolo VI che pure era almeno tentato di abbandonare il timone della Chiesa al compiersi degli 80 anni, proprio per la paura di attenuazioni di capacità intellettive e decisionali; Paolo VI che si era abbandonato a Dio invocando una agonia breve; Paolo VI il quale aveva richiamato il fatto che «a una paternità non si rinuncia».
       Ma forse c'è anche qualcosa di nuovo in Giovanni Paolo II. Qualcosa che assomiglia a un desiderio di martirio subito nello svolgimento della propria missione. Sembra che il Papa abbia deciso di morire in viaggio o mentre lavora, comunque. Finché Dio concede, rimane affisso alla Croce e non ne scende.
       La preghiera e il dolore, la debilitazione e la fragilità che il Papa porta attorno per il mondo non sono esibizione di dolorismo. Sono un modo di servire la Chiesa e l'umanità. Può darsi che in futuro riconosca che la sua paternità si debba esprimere nel riconoscimento di sentirsi ormai incapace di partecipare e di condurre la vita della comunità cristiana e di orientare la famiglia umana, ma forse Giovanni Paolo II preferisce - sceglie - di morire sulla breccia piuttosto che ritirarsi nella penombra di un convento o di un santuario.
       Non è pure questa dipendenza da Dio e questo avviarsi alla meta suprema: non è pure questa lezione un esercizio di compito apostolico e una docenza di preparazione a morire? Morire, cioè consegnarsi al Signore dopo averlo imitato negli aspetti anche più aspri della vita?
       Il magistero della contemplazione e della sofferenza esercitato senza una posa e senza un lamento. Non si tratta di un personaggio qualsiasi che non vuole staccarsi dal potere e dalla gloria. Si è di fronte a un fedele che conosce la validità della confidenza in Dio, della supplica e dell'unirsi a Cristo nella passione per la salvezza di tutti. Per la pace. Per la fraternità. Per la conversione al Signore.
       A questo punto, il Papa può mettere anche a lato i fogli dei discorsi e darsi al magistero del dolore, che contiene e supera tutti i temi della fede. Un «credo» vissuto che può lasciare intuire un universo di gioia e di beatificazione nella speranza. Ai martiri si può credere.
       I cameramen stiano attenti. Può essere che riprendano in diretta uno spirare abbandonato e liberante. Per nulla macabro. La morte riscattata e benedetta, di là dalle nostre ritrosie: la saggezza somma.

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