E'cronaca di questi giorni. La Commissione europea emana una direttiva secondo la quale il riposo settimanale non deve necessariamente coincidere con la domenica; può essere fissato in qualsiasi giorno della settimana previo accordo tra sindacati e datore di lavoro; in assenza di tali accordi provvederanno i singoli Parlamenti nazionali. L'articolo 2109 del Codice civile italiano stabilisce che il giorno di riposo settimanale sia «di regola in coincidenza con la domenica». Tale direttiva dovrebbe decadere. Poiché sindacati e datori di lavoro non hanno ancora trovato un accordo, a quanto pare spetterà al governo decidere al riguardo. E dovrà decidere in fretta, poiché la Corte di Giustizia del Lussemburgo ha già condannato il nostro potere esecutivo il quale rischia di pagare «una multa di 238.950 euro al giorno», per ogni giorno di ritardo.
       Espongo il mio parere di cittadino, più che di vescovo. Mi chiedo, per esempio, se sarà automaticamente ancora possibile aumentare lo stipendio quando si lavorasse nel giorno festivo stabilito, dal momento che qualsiasi giorno potrebbe essere festivo.
       Mi chiedo ancora se «il fine settimana» potrà continuare con l'allegria e la tenacia con cui è stato attuato nel nostro Paese da sessant'anni a questa parte: sabato e domenica intoccabili; anzi, già che ci siamo, si parte il venerdì sera e si può tornare il lunedì mattina con le partenze intelligenti. Resisterà la nostra civiltà nel caso in cui i due giorni festivi - ammesso che non siano ridotti a uno - siano staccati, proibendo così la rituale coda alle autostrade per le spiagge e per le montagne innevate?
       Bisognerà poi pensare anche a coloro che lavorano al servizio di quelli che fanno festa in qualsiasi giorno della settimana. Portalettere, impiegati di banca, salumieri, parrucchieri, capi stazione, farmacisti, muratori che hanno stipulato un contratto a tempo e così via. Si fa in fretta a strusciarsi le mani perché, comunque si decida, quando si decida di andare al cinema o di fare le spese nei negozi, si troverà la possibilità di soddisfare non solo le esigenze, ma anche i capricci. Forse, però, potrebbero non pensare così coloro che devono servirci: vendendoci i libri o frutta e verdura, organizzando una vacanza o tenendo aperto un ristorante. Facile trovare le cose a portata di mano. Ma coloro che la mano devono mettercela, come reagiranno? Si potrebbe pensare che sorgerà qualche obiezione.
       Altri rilievi li può fare chiunque solo che si metta a immaginare un poco ciò che potrà capitare. Si noterà, comunque, che la disposizione alla direttiva della Commissione europea pare tenga conto soltanto della componente economica: l'importante è organizzare il lavoro, il guadagno e il tempo libero da gestire magari non senza qualche fatica. La difficoltà si rivela in tutta la sua evidenza quando si dovesse soltanto intuire che l'uomo non è uomo unicamente al 27 del mese e per organizzarsi gli svaghi.
       Si potrebbe richiamare una serie di tradizioni religiose secondo cui, per esempio, la domenica è la festa dei cristiani, il sabato è la festa degli ebrei e il venerdì è la festa dei musulmani. La segnalazione potrebbe essere letta a favore della direttiva della Commissione europea. Ma non è così. Se si riflette sul fatto che questi giorni dalle diverse correnti religiose sono stabiliti e vantano ascendenze secolari. Si potrebbero recare pezze giustificative rivelate, ma so benissimo che non sarebbero accolte da ambienti laici. Almeno si rifletta sul fatto che una società vive soprattutto di miti e di riti, i quali sono delle ragioni tra le più prementi a formare fraternità di persone che non siano soltanto guadagnanti, lavoranti e riposanti. Buttiamo tutto al macero?
       Con una aggravante. Secondo le scelte delle diverse categorie di persone o addirittura dei singoli individui si formerebbe una convivenza civile quasi a strati, come una sorta di panino imbottito, dove chi fa festa il giovedì non si incontra mai con chi fa festa il sabato. Così non si dividerebbe il Paese soltanto come una federazione di regioni, ma anche in base ad arti e mestieri o a ùzzoli per un qualsiasi giorno della settimana. Altro che pluralismo, si giungerebbe al pulviscolarismo o, appunto, a una fraternità che si incontra per caso o scegliendo soltanto quelli che hanno i medesimi gusti perfino riguardo i giorni della settimana. Chissà che, dopo la Pasqua come domenica delle domeniche, non si interroghino gli oroscopi per esprimere la predilezione per un giorno preciso. Chissà che non prevalga il comando secondo il quale né di Venere né di Marte, non ci si sposa né si parte.
       Forse con tutta la tracotanza della nostra secolarizzazione arida e perfino cattiva, riscopriremo che era meglio quando ci si metteva l'abito buono e ci si ritrovava per la Messa - parlo per i cattolici, ovviamente - e per l'aperitivo al bar: ciò che si faceva rigorosamente nei giorni di domenica e delle feste comandate. Se no sarà il trionfo di un mesto individualismo ancora umano?

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