In Germania l'operazione avviene da tempo. Un tizio chiede di essere cancellato dal registro di battesimo e la Chiesa lo accontenta non considerandolo più come suo membro. I motivi di questa prassi sono molteplici. Tra gli altri vi è anche l'esonerarsi dall'obbligo di pagare una piccola percentuale da destinare alla confessione di appartenenza - cattolica o protestante - quando si versano le tasse.
       In Italia, invece, la vicenda si presenta assai più «pura». Niente vantaggi. Il peso di avere il proprio nome scritto nel registro dei battesimi. E uno se lo vuole scuotere dalle spalle perché si sente infastidito, irritato. Ha compiuto una scelta religiosa diversa, o una scelta atea, e manda la richiesta per raccomandata con ricevuta di ritorno al sacerdote della parrocchia in cui è stato battezzato; il sacerdote informa il vescovo e, ricevutone il consenso, a propria volta spedisce una raccomandata all'interessato per assicurarlo che la domanda di cancellazione del suo nome dal registro dei battezzati è stata accettata.
       Cose che, a questo punto, capitano anche in Italia. Cose che, a loro modo, manifestano una fede: quanto meno esprimono l'importanza che si attribuisce a un'appartenenza formale alla Chiesa. Uno non si sogna nemmeno lontanamente di togliersi dall'associazione Dante Alighieri o dai reduci della seconda guerra mondiale.
       Che dire? Per rispondere bisogna porre una distinzione. Se si considera il battesimo nella prospettiva della fede, questo sacramento immette nella Chiesa, imprime il "carattere", vale a dire un segno spirituale indelebile che mette in rapporto con il fatto cristiano, e dona la vita di grazia. Per un credente, il battesimo non può essere revocato nel suo effetto permanente. Se, invece, si considera il battesimo secondo uno sguardo soltanto umano, questo rito si riduce a un po'd'acqua versata sulla testa di un bimbo. Niente altro. Al punto che - v'è da insistere - non si vede perché mai scomodarsi a rifiutarlo: a meno che si agisca per un risentimento poco o tanto derivato da una fede almeno residua.
       Stiamo al tizio che vuole escludersi dalla Chiesa cattolica. Il battesimo, anche a una osservazione superficiale, è almeno un dato, un fatto, un avvenimento; e come tale non si vede come si riesca a eliminarlo dalla storia della propria vicenda personale: l'acqua versata sulla testa è stata versata e amen. Anzi, la cerimonia è stata celebrata in pubblico e non certo per volontà della Chiesa di accaparrarsi un cliente. La famiglia ha liberamente - talvolta insistentemente - chiesto il battesimo e ha portato il piccolo al fonte.
       Semmai la Chiesa può - deve - dolorosamente ammettere che un proprio figlio la vuole lasciare. Prenderà nota della decisione non spandendo del bianchetto su un registro, ma semplicemente siglandovi ciò che l'ex-cattolico ha voluto. Che cosa si pretende di più?
       Va da sé che i registri delle parrocchie non si portano in piazza. Sono custoditi con riserbo anche per via della privacy. Ma non potrebbe essere proprio chi si toglie dalla Chiesa a far conoscere la sua scelta?
       Sia come sia. Misuriamo qui un atteggiamento di ostilità più che d'indifferenza. Buon segno. Se si odia è perché segretamente si ama. Tanto più che la Chiesa lascia una libertà suprema. Perché mai far dispetto a chi non costringe a nulla? I casi più trepidi arriveranno quando i genitori non chiederanno più il battesimo per i loro figli: non per avversione, ma per noncuranza, per svagatezza, per dimenticanza. E, interrogati, risponderanno che la scelta spetterà ai figli quando ne avranno la capacità. Come se i figli dovessero attendere a nutrirsi quando sapranno segnalare le vivande sul menù. Come se i figli avessero domandato o almeno consentito di essere messi al mondo. Mentre sarebbe tanto più leale riconoscere che non si crede più. Se ci si riesce. Perché è duro il mestiere di uomo: duro e affascinante. O assurdo. E allora?

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