Crocefisso nelle scuole, una battaglia sbagliata. Settimana scorsa il Papa ha parlato del crocefisso esposto nei luoghi della vita pubblica. C'era da aspettarsi una baruffa religiosa, che è venuta puntuale e fuori tema. Ne venne anche un groviglio di equivoci i quali hanno reso pressoché impossibile arrivare a qualche conclusione operativa.
Si mossero dapprima i Fratelli musulmani di Milano, il noto gruppo fondamentalistico che rifece, come un disco rotto, la tiritera del cadaverino esposto: questo turberebbe la delicata psicologia degli islamici i quali - in una scritta in arabo nella moschea di Omar - chiedono ad Allah di dar loro la forza per distruggere i politeisti, cioè i cristiani, e ritengono che Gesù sia scappato dal Calvario e al posto di lui sia stata inchiodata alla croce una specie di comparsa. Le pareti, comunque, van lasciate rigorosamente senza immagini.
I cattolici reagirono con l'unità compatta che li contraddistingue oggi anche e soprattutto nei problemi religiosi: in campo politico-culturale basta essere antiamericani. Dissero che era inutile esporre il crocifisso: bastava averlo nel cuore. E così si spiritualizzò oltremodo il concetto di crociata e si liquidò ogni simbolo anche lontanamente allusivo al cristianesimo. Lasceremo, però, i monumenti a Garibaldi, a Cavour, a Vittorio Emanuele II eccetera quali emblemi di identità del popolo italiano? Altri pretesero subito una legge che imponesse il crocefisso come espressione di fede: la fede dei nostri padri, la fede delle nostre terre: una sorta di albero degli zoccoli. Non mancò chi propose di lasciare che le cose andassero come volevano: coloro che desideravano il crocefisso lo appendessero al muro, coloro che si sentissero messi in difficoltà lo togliessero. Una sorta di battaglia sul campo. Che però trasformava la possibilità di avere esposto o no il segno della croce in un diritto essenziale della persona, mentre la Corte costituzionale aveva assicurato che nell'un caso come nell'altro non si lede la Carta fondativa. Il ministro Moratti si limitò a una circolare.
Per la verità, l'intervento del Papa che provocò la buriana non obbligava nessuno a esibire il crocefisso «nelle chiese e nelle case, negli ospedali, nelle scuole, nei cimiteri». Prendeva nota di un fatto e lo segnalava in chiave culturale e non strettamente religiosa: «La croce è diventato il segno per eccellenza di una cultura che attinge dal messaggio di Cristo verità e libertà, fiducia e speranza»: un segno di umanità e di violenza subita, non inferta, dunque. Che poi i credenti possano fare l'adorazione alla croce, è altro tema.
Che dire? Diversi scenari. Che in Italia si registrano ancora rigurgiti di anticlericalismo. Reduci si nasce. Che, per esempio, si potrebbero togliere dalle materie di insegnamento anche tutti i riferimenti al cristianesimo: bisognerebbe sfoltire assai storia, filosofia, letteratura eccetera. E anche ogni riferimento all'Islam. Perché? Fingendo che nella condizione umana non vi sia mai stato un anelito all'assoluto. E adesso? Che nella scuola di Stato si mostrino tanti segni di civiltà quante sono le culture presenti - croce, stella di Davide, mezza luna, totem, kalumet e così via - magari in grandezza proporzionata al numero degli scolari. Ammesso che gli islamici accettino un simile micro Pantheon. Se si suggerisse di insistere maggiormente nella scuola libera impostata su precisi indirizzi culturali e su specifiche visioni del mondo, si verrebbe forse accusati di spaccare verticalmente il Paese, mentre si creerebbero le condizioni per un dialogo rispettoso e solido che non sia il solito gargarismo di slogan fatti di nulla e di intolleranza.
Teniamoci il crocefisso, per ora. Molta gente italiana non condivide e non vive il cristianesimo, ma ne accetta l'influsso sull'assetto della civiltà che ne deriva. Ma non ci si illuda: tra non molto ci si troverà a far valere diritti di retroguardia. Pareti bianche e narcisismo ci si addicono, soprattutto quando anche molti cattolici si sfilano dalla fede che può generare cultura dando senso compiuto all'esistenza e la forza di sostenere il dolore e l'amore ai fratelli, eccetera. Di provocare pure qualche avaro sprazzo di gioia. Anche l'Islam nella sua purezza durerà poco sotto l'influsso del consumismo edonistico e individualistico. Nemmeno il confronto culturale rimarrà vivace. Bisogna essere qualcuno, culturalmente, per confrontarsi.
A meno che recuperino dignità i credenti di tutte le fedi. A cominciare dai cristiani che sembrano vergognarsi del loro passato e delle loro attuali responsabilità.

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