New-York. Undici settembre 2001. Ore 10,05. In ventitré minuti si afflosciano palazzi-simbolo di una civiltà; si accatastano migliaia di morti; si diffonde in popoli interi l'esperienza di chi non si sente protetto; il panico prende alla gola e allo stomaco; il mondo occidentale non è più come prima: può vedersi aggredito allimprovviso, a piacere.

       Gli uccisi non hanno colore: non li si può usare come strumenti di propaganda politica;presentano soltanto lo strazio di chi dal lavoro o dalla conversazione quotidiana viene strappato con violenza subitanea per essere gettato davanti al tribunale di Dio. Per loro, chi crede è chiamato a pregare: che il Giudice crocifisso e risorto li accolga nella pace della sua vita senza fine e della sua gioia senza limite.

       Non riusciamo ad ammettere di essere di fronte a un atto di eroismo. Gli eroi non utilizzano aerei di linea e ignari passeggeri come bombe. Si sacrificano, ma non per colpire e uccidere cittadini inermi e innocenti.

       A voler gonfiare oltre misura la parola violenza fino a includere qualsiasi forma di insensibilità e di sgarbo, è difficile determinare chi ha iniziato la guerra, poiché di guerra si tratta. Certo, questo terrorismo ha una lontana origine precisa, segnalata, con volto e nome esibiti.

       E, però, le incursioni possono venire da ogni parte: da basi remote, dal vicino di casa, dal collega di lavoro. Il nemico si può nascondere tra noi per colpire. Siamo attorniati da minacce orrende e indecifrabili.

       Si potrà ripetere una tale tragedia? E perché no? Anzi, sembra annunciata.

       Preghiamo - a fatica magari - anche per i terroristi e per i mandanti: il Signore tocchi loro il cuore e faccia cadere dalle mani le armi.

       Invitiamo al dialogo i belligeranti: ad accordi pacifici, a giuste intese, a patti severi e armoniosi. (Per tre volte questa frase va ripetuta per far capire che è sincera e accorata).

       Auguriamoci che qualcuno, profeticamente, evangelicamente, perdoni le offese ricevute e rinunci a difendersi.

       Ma che cosa diremo al popolo sgomento: che bisogna essere pronti a subire altre aggressioni? Che bisogna stare passivi esponendosi ad attacchi futuri eventuali? E chi non entra nella logica cristiana dovrà essere costretto a rinunciare al diritto di salvaguardarsi? E così agendo, non commetteremmo una prevaricazione verso persone che occorre tutelare, che hanno il diritto di essere tutelate ?

       Certo, qualcuno deve pure rinunciare alla violenza perché inizi la pace. Ma se l'avversario intende continuare la lotta? Rimarranno nazioni inermi come vittime sacrificali della prepotenza e dell'iniquità?

       E come parare i colpi se si ignora donde arrivano? Quali metodi di resistenza e di riparo mettere in atto? Senza spirito di rivalsa. Senza atteggiamento di rivendicazione. E, tuttavia, sarà lecito non reagire almeno per mettere l'altro nella condizione di non poter nuocere? E di nuovo: come?

       Il Signore, principe della pace, illumini cittadini e governanti. Perché non chiamino pace la protervia ricevuta e ancora possibile. Perché non operino rappresaglie soverchie come rivincite puntigliose e meschine. Perché giungano alla tranquillità dell'ordine esigendo l'ordine secondo equità. Perché sappiano accettare un mondo imperfetto e talvolta perverso impegnandosi a renderlo migliore.

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