Cronaca di questi giorni, non fantasia. Piccola città di Brookfield, nell'Ohio. Protagonista un ragazzo dodicenne di seconda media. Il quale si vede assegnare un tema così concepito: «Scrivete una lettera amichevole a una persona che vi ha drammaticamente cambiato la vita». Facile, no? Ammesso che esista davvero tale persona, poiché non è frequente vedersi cambiata drammaticamente la vita con un incontro. Ma gli alunni non sottilizzano. A dodici anni è discutibile sapere di drammi esistenziali. Potrebbero riconsegnare il foglio in bianco. Macché. Non è obbligatorio raccontare la propria vita con sincerità assoluta in un tema che soltanto la professoressa leggerà. Gli scolari procedono allo svolgimento. Anche Phillip - così si chiama il ragazzo -, però, procede a modo suo: indirizza la lettera a Gesù.
       Disappunto dell'insegnante. Anzi, rifiuto dell'elaborato poiché non chiedeva una professione di fede, ma uno scritto a una persona esistente. Fuori tema, dunque.
       Qui inizia la diatriba. La prof è disposta ad ammettere che ci si rivolga a un prete o al Papa come rappresentante di una religione, ma non a Gesù che non ha nulla a che fare con la realtà. Già, ma quale realtà? Dall'alto della cattedra la docente esige una carta di identità emessa da una qualsiasi autorità civile. Soltanto questo, per lei, è indice dell'esistenza di una persona.
       Si potrebbe obiettare che, veramente, Gesù è stato registrato durante un censimento tanto tempo fa. No. La prof pretende anche la firma che certifichi la concretezza attuale del carpentiere di Nazareth. Come per riscuotere la pensione quando allo sportello si presenta un tizio con la delega. Sembra di assistere alla scena degli Atti degli Apostoli dove il governatore della Giudea, il romano Festo, di tutta la predicazione di Paolo su Gesù risorto dai morti, capisce soltanto che egli sosteneva che un certo Gesù, morto, era ancora in vita (Atti 25,19): cavilli di una superstizione eccentrica, insomma.
       Ecco. Contro il parere di Phillip la questione va archiviata, secondo l'insegnante. E invece. Invece il testardo dodicenne è convinto che Gesù non solo ha affrontato e vinto la morte, ma è risorto nella gloria come salvatore di tutti e ora vive e regna, ed è più reale e denso di ogni altra persona. Altro che personaggio. Ed è l'unica persona che gli abbia drammaticamente cambiato la vita. Provare per credere. Gli parla. Lo ascolta. Si sforza di mettere in atto il suo insegnamento morale. Ma, soprattutto, cè: esiste come e assai più delle stringhe delle scarpe, del dentifricio, del portinaio, del bidello e, perché no, della professoressa. Non si vede? Non pesa. Non mostra il colore degli occhi e il tipo di pettinatura. Ma c'è. E con lui occorre far tornare i conti perché ha amato senza misura fino a perdonare i peccati e ad accogliere nella sua amicizia. Adesso. Qui. Umanamente proprio perché Egli è il Figlio di Dio.
       Povera insegnante che forse per la prima volta in vita sua si trova di fronte all'essenza del cristianesimo sostenuta e proclamata da un moccioso. Come convincerlo che sta farneticando? Ma, d'altra parte, come lasciarsi convincere da un esaltato per di più plagiato molto probabilmente dai genitori?
       Il seguito della storia non è felice. La madre dell'alunno cita in tribunale la professoressa per la lesione del diritto alla libertà religiosa, chiede alla scuola un milione e mezzo di dollari come risarcimento del danno e si impegna in una propaganda vivace contro l'istituto scolastico - afferma - «che non riconosce Dio». Storia non felice a meno che quel mucchio di soldi non servano a istruire la docente sulla laicità della scuola pubblica o a mantenere Phillip a una scuola che rispetti le sue convinzioni di fede.
       Laicità. Che non è assenza di idee, ma pluralismo di certezze che si confrontano e si rispettano. La vicenda americana non ha proprio nulla da dire a noi italiani i cui figli frequentano spesso una scuola preoccupata di insegnare il meno possibile o di trasmettere una lezione preconcetta in tema di idee che contano e determinano la vita? Certi Natali di cui non rimane più nemmeno l'asino e il bue. Certe Pasque ridotte all'uovo di cioccolato e alle vacanze sciistiche. Per farne che?

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