E’ giunto il tempo degli adolescentologi (come chiamarli diversamente?). Si sa: quando avvengono fatti criminosi come quelli recenti consumati in seno alle famiglie, la gente si spaventa. Non sono più bimbi e non sono ancora uomini e donne, eppure si sporgono sul ciglio della crudeltà. Ammazzano una suora con pietre e coltelli. Tre ragazze perbene. Due fidanzatini uccidono la mamma e il fratellino di lei. Si potrebbe continuare nell’enumerazione, ma si capisce a che cosa ci si vuol riferire. E l’informazione, con il pretesto del diritto di cronaca, passa spesso sopra al dolore di persone impietrite, e si attarda su particolari di ferocia spaventosa: per poter meravigliare, per potere far gridare allo scandalo, mentre per giungere a tanto basterebbe una notizia secca ed è detto tutto. Viene il sospetto che i fruitori - e ancor prima, alcuni confezionatori - dell’informazione tacitamente desiderino costernarsi. Sembra siano malati di sadismo che han dentro e che ritrovano in soggetti assunti come cifre di una cultura diffusa, la quale non si accontenta mai nemmeno di delitti, ed è in attesa e alla ricerca morbosa di circostanze aggravanti. Sadismo. Qualcosa di simile avviene per scene e descrizioni erotiche: si va sempre oltre - o indietro -, verso perversioni che suscitino ancora qualche fremito in chi è assuefatto e stanco di una qualche usualità anche compiaciuta. E si chiama libertà, mentre è forse patologia. E si inneggia alla disinibizione, quando si vive alienati in un universo che spesso è violenza e sfruttamento. Amore è parola sdruscita ed equivoca. Ciascuno sta solo con le proprie inclinazioni perverse e viene la sera della vita, prima che si dichiari felice. Il cristianesimo parla di peccato originale. Che non ci sia qualcosa di vero per tentare qualche spiegazione del comportamento - affermerebbe Freud - di queste canaglie che formano l’umanità? Noi?

Adolescenti, dunque. E ogni papà e ogni mamma che hanno in casa ragazzi/e simili per età vengono presi dal panico: che sotto la patina del perbenismo in famiglia, a scuola, tra gli amici ecc., non si nasconda la voglia di trasgressione fino all’efferatezza? quali sorprese agghiaccianti possono riservare i figli?

Ecco, qui entrano in scena gli adolescentologi, alcuni dei quali corrono affannati da una televisione a un’altra, da un rotocalco a un altro, da una conferenza a un’altra. Per insegnare che cosa? Un po’ psicologi, un po’ psichiatri, un po’ sociologi con tutte le specializzazioni del caso, esprimono in linguaggio elaborato - tecnico - ciò che sappiamo tutti a memoria. E talvolta non si lasciano sfuggire l’occasione per schizzare alcuni tratti sull’universo. Come se non esistessero anche casi eccezionali, anormali.

Una costante: quasi sempre rilevano come una novità la mancanza di una famiglia unita alle spalle di questi/e ragazzi/e. Mi si lasci ammettere candidamente: spesso ritrovo alcuni spunti di pedagogia spicciola e di responsabilità propria dei genitori, che io andavo ripetendo nel 1974, quando si invocavano conquiste di civiltà ormai entrate nel costume non senza qualche esito imprevisto e doloroso. Integrazione di tenerezza e di autorevolezza. Abitudine a qualche rinuncia. Saper dire dei no. Ascolto. Attenzione. Dialogo. E così via. Dov’erano, allora, questi adolescentologi? E se i sono sbagliati, perché non lo ammettono? Non richiama davvero nulla un dodicenne che di recente si butta dalla finestra del secondo piano della scuola perché il papà e la mamma si stanno separando ed egli confida agli amici: “A chi servo io?”.

 

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