Se al computer si chiedesse quali siano le parole più usate nell'informazione di oggi, il termine «pace» schizzerebbe in prima posizione senza soverchi antagonismi. Ma tale rilevazione induce a confermare l'impressione che si ha già, vale a dire che pace nel linguaggio di oggi significa tutto e il contrario di tutto. Con la derivazione-variante di «pacifismo», che può evocare la figura eterea di San Francesco e qualche manifestazione di esagitati i quali siano intenti a fracassare vetrine se non proprio teste.
       E si può rifarsi al senso comune, dove pace indica semplicemente il tacere delle armi, una certa quiete magari un po' neghittosa, una qualche tranquillità rassegnata o coatta che copra segrete violenze silenti e dolorose. Per non tingere tutto di rosa e sognare la pace come l'apoteosi del bene e della perfezione raggiunta. Un'utopia.
       Mentre non è così. Se pace fosse soltanto un concetto negativo indicante calma e rassegnazione e rinuncia a impegnarsi e a lottare, per un ordine sociale equo, ebbene la Russia e l'impero sovietico dopo il 1917 e il nazismo dopo il 1938 apparirebbero come le situazioni di pace più placida: niente rivalità e tensioni, niente rivendicazioni, perfino niente critiche manifestate. L'ordine regna sovrano. Per ricorrere a una frase famosa: «Desertum faciunt et pacem appellant»: creano il deserto e la chiamano pace. Coercizione. Accoglienza di miseria e di ignoranza, ma proibito reagire e addirittura lamentarsi. Decerebrazione almeno tentata. Attualmente anche il magistero della chiesa propone meno la descrizione agostiniana secondo cui la pace sarebbe «la tranquillità dell'ordine». E si intuisce il perché. L'ordine sul quale riposare esige di essere almeno un poco precisato, senza lasciare che sia il tiranno o la dittatura di turno a specificarlo e a imporlo.
       Si preferisce ricorrere a Isaia che vede «la pace come opera - esito - della giustizia». Anche qui non mancano ambiguità. Però, almeno, ci si rende più conto della possibilità che un ordine costituito sia - in parte lo è sempre - anche un disordine costituito. E riappare la giustizia come responsabilità da onorare. Con l'esigenza di chiarire le mete e le modalità secondo cui agire in vista del fine segnalato: la giustizia, appunto. La giustizia sociale. Il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona ammessi dal potere legittimo. Le libertà che caratterizzano e attuano l'uomo. Il progresso come nuovo nome della pace, al dire di Paolo VI. Eccetera.
       Così la pace si disegna come idea dinamica mai raggiunta pienamente e verso la quale sempre tendere. Non si dà una pace da conservare soltanto. E da trasmettere come una eredità.
       Vi può essere chi si convince di operare la pace perfino rinunciando al diritto - al dovere talvolta - di difendersi in modo legittimo, quando è attaccato ingiustamente. Vi può essere chi ritiene di doversi impegnare in reazione minima e onesta quando subisce violenza. Anche per far cessare l'aggressione a cui è sottoposto. Un'annotazione è da porre al riguardo. Un «pacifista», nel senso usuale del termine oggi, che volesse imporre le proprie vedute a chi vuole difendersi, consumerebbe un sopruso: a sua volta diventerebbe guerrafondaio.
       Va da sé che, per giocarsi in vista della giustizia e della pace conseguente, occorre avere consapevolezza di valori alti - intangibili - da tutelare e da promuovere. Se no si subisce indifferentemente la pace o la guerra.
       Va da sé ancora che pure le vie per giungere alla giustizia devono essere le più consone possibili alla dignità umana.
       Un'osservazione conclusiva: se in qualche modo e in qualche misura la pace reca la giustizia, è soprattutto la giustizia a introdurre nella pace: quella pace che si riesce a raggiungere: sempre da conquistare e da ampliare e da approfondire.
       Una postilla. Come si vede, la riflessione attiene alla concezione generale della vita: all'umanesimo che si ha in testa e nel cuore. II credente sarà operatore di pace quanto più sarà operatore di giustizia. Come? II problema va lasciato aperto. Pregando, comunque, poiché la pace è dono di Dio oltre che conquista di libertà. E la pace ultima sarà quella dopo la morte, quando inizierà la vita vera.

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