Dopo le ritornanti polemiche circa il crocifisso nella scuola - elementare -, adesso è la voglia, pure vecchia, di proibire l'interpretazione religiosa del Natale.
       Vediamone i motivi. Un primo è la preoccupazione di non spaventare i bambini, almeno per quanto concerne il Crocifisso. Un cadaverino orrendo appeso a un legno. Dopo di che, ci si deve domandare - alla pari - se non occorra oscurare i due terzi dei telegiornali intessuti di terrorismo, di guerre, di incidenti e di rapine. La logica non sembra tenere troppo.
       Un secondo motivo delle censure nei confronti del Cristianesimo sarebbe il rispetto delle minoranze religiose. Che appare sentimento nobile, se democrazia significasse prevalere delle minoranze a discapito delle maggioranze. Insomma, i più dovrebbero sempre cedere il passo ai meno. Dopo di che, si arriva ai numeri frazionali e non si decide mai nulla. Non si dimentichi che presepe, canti natalizi, crocifissi e simboli del genere non costituiscono un obbligo a credere in chiave cristiana. Vengono spesso manifestati e percepiti come memoria di una trama educativa accolta durante l'infanzia ed espressioni di una cultura che ha suscitato per secoli meraviglie di pensiero, di santità, di bellezza. Buttiamo tutto al macero?
       Di solito, a questo punto, da parte di insegnanti che si mostrano evoluti, si invoca la laicità della scuola e la cancellazione della religione di Stato. Che son cose su cui riflettere. D'accordo: lo Stato non può imporre una fede. Ma il maestro o la maestra può far passare agli alunni una propria visione del mondo? Il diritto-dovere di educare non è innanzitutto dei genitori? E costoro sono nella condizione di poter vedere rispettate sempre le proprie idee nel lavoro pedagogico svolto sui loro figli? O hanno il solo compito di generare i loro figli, per poi consegnarli allo Stato come pacchi postali e ritirarli, manipolati a immagine di un/a ignoto/a a cui magari non recano soverchia stima? (Non sarebbe opportuno, a questo proposito, tirare le conseguenze fino alla scuola privato-sociale, oltre quella gestita dallo Stato, affidata ad agenzie educative pure sostenute con le tasse di tutti?).
       C è, poi, lo stesso concetto di laicità da precisare: se laicità significa non avere idee e certezze sui grandi temi della vita, allora si lascino nude le pareti delle aule. Squallore. Aridità. Ma è difficile identificare, per esempio, gigantografie di monumenti d'arte senza imbattersi in qualche allusione - almeno allusione - religiosa. In ogni città d'Italia, a partire dal centro e avviandosi in ogni direzione, fatti cento passi, ci si trova di fronte a un simbolo religioso da spiegare. Dimentichiamo tutto? E la laicità - per tornare al tema - si connota come assenza di convinzioni e di ideali, o come pluralità di convinzioni e di ideali che si rispettano e si confrontano vicendevolmente, almeno quando si tratta di impostare il pensiero e la vita? (Un appunto sussurrato: certi laici feroci e incalliti ringrazino il Signore finché sta la Chiesa da criticare; se no, potrebbero finire al silenzio o quasi all'inesistenza).
       Che poi si sia coerenti con la storia che si ha alle spalle, è altra questione. Ma non vale cassare la storia con un rigo. Meglio tenersi dentro qualche rimorso o qualche nostalgia. Anche perché spesso non si riesce a sbarazzarsene del tutto e a continuare passabilmente il mestiere di uomo.
       I bambini e i ragazzi hanno spesso una penetrazione di sguardo e una tenerezza di cuore che noi adulti e smagati abbiamo perso, purtroppo. Sono ancora capaci di credere alle favole che potrebbero far sorridere i nostri giorni languidi e stizziti: le favole che sono spesso più vere della realtà. Se poi con la realtà coincidono, allora l'esistere ha un senso nuovo. Si riesce perfino a sperare contro ogni evidenza.
       Presepi e crocifissi nelle scuole. Sono forse la lezione più dura e consolante da imparare. Rischiano di farci diventare più saggi e più buoni.

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