0rmai, nei telegiornali, il capitolo dei funerali sembra un cliché ritornante. Bambini uccisi con crudeltà. Ragazzine soppresse per gelosia o per odio. Vittime di folli o di criminali lucidi ecc. Preciso: mi riferisco ai funerali di morti per violenza. Gli altri, quelli dei defunti illustri per diversi motivi, in Tv lasciano intravedere qualche lacrima, un battimani che non riesco sempre a capire, ma costituiscono un fuori-tema circa quanto vorrei dire.
       E vorrei dire che, quando il rito si svolge in chiesa o la salma è accostata da qualche persona ufficialmente di chiesa, sembra deterministicamente programmato un invito al perdono: un invito accorato o talvolta buttato là sui due piedi con disinvoltura, immesso in una predica come un ingrediente inevitabile, con la freddezza di una logica implacata. Insomma, il discorso cristiano sembra vada fatto tutto e non possa essere privo della sollecitazione a concedere il perdono ai responsabili del malfatto. Anzi, il discorso sembra vada tenuto di fila in tutte le sue parti, quasi con il medesimo tono. Il perdono predicato con la voce rotta dalla commozione con cui si presentano le condoglianze e si chiede di affidarsi al mistero di Dio; il perdono predicato con voce spigliata e disinvolta come di chi non è neppure sfiorato da una sofferenza ecc. Sbaglierò punto d'osservazione. Forse, essendo anch'io dell'apparato dirigenziale della chiesa, dovrei stare al copione. Confesso che non riesco.
       Mi metto nei panni dei parenti del morto - che so, della moglie, del marito, del papà, della mamma, dei figli, dei nonni - e mi domando che cosa mi provocherebbero in animo simili parole interrotte dal pianto o sciolte come una constatazione ovvia o come un imperativo di agevole attuazione. E concludo che non mi sento pronto a offrire subito, di botto, il perdono a chi mi ha procurato un dolore straziante; a chi mi ha rubato un pezzo di cuore. Poi, quando i sentimenti si saranno placati, quando l'animo si sarà ricomposto, forse riuscirò a cavare dall'animo espressioni che sembreranno eccessive rispetto al sentimento e alla stessa volontà: offrirò, magari a fatica, la mia misericordia soltanto allorché mi accorgerò che Dio usa misericordia anche a me e mi domanda di trasmettere ad altri la sua.
       Forse non sarà slealtà l'arrancare perché le parole dette o scritte siano sempre meno inadeguate rispetto a quelle che d'istinto vorrei pronunciare. Anche gli inviti a un comportamento cristiano devono scandirsi sui ritmi evolutivi dell'atteggiamento umano. Calma. C'è un tempo per piangere e un tempo per sorridere; un tempo per imprecare - o tacere - e un tempo per perdonare e così via. E poi. E poi mi andrebbe di precisare che il perdono non esige la dimenticanza assoluta di ciò che è avvenuto. Né mi pone in rapporto con il responsabile della mia sofferenza come se nulla fosse accaduto. L'oblio. La finta di chi passa sopra a un momento sgradevole, mentre le cose sono tornate com'erano prima: prima della disgrazia, dico.
       Avevamo scherzato: anche singhiozzando di commozione o di angoscia. Adesso, comunque, guardiamo avanti. Amici come prima. Non ho ricevuto il perdono? Eh, no. Il perdono, o - se si vuole - l'amore al nemico che ci ha procurato un dolore non cessa di esigere la riparazione. Anzi, la chiede in modo più premente. Non la impone. Ma la attende per un motivo in più rispetto alla semplice giustizia. Per semplice giustizia uno potrebbe sentirsi liberato da qualsiasi debito - non necessariamente dal rimorso - nel caso in cui avesse compiuta un'adeguata riparazione (quando la riparazione è possibile).
       Se, invece, voglio bene all'altro che mi ha offeso, allora la dilezione che gli regalo costituisce una ragione più impegnativa perché egli riaggiusti la situazione e faccia ritornare, nel limite del possibile, l'ordine tra noi. Trattassi il nemico come un amicone di bar, dal quale non esigo nulla, lo butterei fuori dal mio orizzonte di stima e di affetto: lo considererei come un minus-habens. E ciò non è nemmeno secondo giustizia. Che poi la riparazione sia richiesta con dolcezza e con eleganza, non cambia nulla. Anzi. Umanità nel chiedere il perdono. Umanità nel concederlo.

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